19 Giugno 2015
L’olio extravergine venduto in Italia?

A battesimo il primo set di indicatori per misurare la qualità, e prevenire il rischio frodi
Olio questo sconosciuto, lo dice il web: scarsa conoscenza di un protagonista del made in Italy

Coldiretti Viterbo segnale che l’olio extravergine di oliva di qualità venduto in Italia è poco meno del 40% del totale (39,2%): per un valore di circa 1,8 mld di euro. “Di qualità”, secondo la definizione di Symbola e Crea – Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’economia agraria - non significa solo qualità organolettica, ma soprattutto frutto di una filiera che, in tutti i suoi passaggi – dalla terra, alla molitura, alla distribuzione - riserva le giuste attenzioni verso l’ambiente, il capitale umano, la gestione delle risorse e dei rifiuti, che riduce i fitofarmaci, adotta certificazioni, rispetta i parametri di qualità salutistica.
É quanto afferma il primo PIQ – P”rodotto interno qualità sulla filiera oleicola”, realizzato da Fondazione Symbola e Crea in collaborazione con Coldiretti e Unaprol, presentato nel padiglione Coldiretti all’Expo di Milano, nel convegno dal titolo “L’olio italiano e la sfida della qualità – Il PIQ della filiera oleica: per identificare, misurare, difendere”, che intende illustrare la produzione di olio in Italia, divisa tra eccellenze e grandi problematiche.
Per misurare la qualità della filiera, Symbola e Crea in collaborazione con Coldiretti e Unaprol hanno messo insieme 102 indicatori che rappresentano il più completo set informativo sulle diverse fasi produttive dell’olio. Alcuni dimostrando tendenze positive - come il contenimento dei costi di consumo dell’acqua, la certificazione biologica, la quota di olio recuperato sul totale distribuito - che vengono soppesati con segnali d’allarme quando nella filiera qualcosa non torna.
Se, ad esempio, nella fase agricola, i costi per fitofarmaci e fertilizzanti aumentano, incidendo sui margini aziendali, e contemporaneamente calano i prezzi alla vendita delle olive, come registrato negli ultimi anni, le aziende risultano sotto stress a discapito della qualità e, in casi estremi, ricorrono a soluzioni non in regola.
Attualmente si osserva dunque una polarizzazione: da una parte troviamo le imprese che scelgono la qualità, e fanno crescere il valore del loro prodotto; dall’altra ci sono quelle che, in difficoltà, tagliano sulla qualità puntando alla quantità. E’ così che si giunge ad un ampliamento della forbice tra la produzione di qualità, ferma appunto al 39,2%, e una di basso livello, pari addirittura al 60,5% di quella nazionale.
Sebbene il nostro Paese copra infatti da solo ben il 20% della produzione comunitaria - laddove l’Unione Europea detiene il primato mondiale - nel 2014 si è registrato un allarmante aumento del 38% di olio di importazione, contestuale al calo di oltre il 35% dei raccolti nazionali.
Tali dati, con qualche anno di anticipo, avevano colto le difficoltà del settore, oggi rivelate, ad esempio, dai sequestri di olii e grassi da parte dei Carabinieri dei NAS, aumentati dal 2007 al 2014 del 483%, raggiungendo solo lo scorso anno il valore di 7,5 milioni di euro.
L’obiettivo che ci si pone è invece quello di stimolare il paradigma dell’economia della qualità, secondo cui a minor quantità corrisponde un maggior valore dei prodotti: questo è accaduto ai produttori di vino che, travolti nello scandalo del metanolo, hanno cambiato rotta, passando dalla quantità a basso prezzo alla qualità del legame con il territorio, con vitigni pregiati e recupero di una tradizione antica come quella di greci, etruschi, cartaginesi e romani. Tanto che oggi produciamo il 50% di vino in meno, ma il suo valore è cresciuto di sei, sette volte e nel 2014 abbiamo esportato vino per circa 5 miliardi di euro.
La definizione del PIQ olio rappresenta dunque il primo database attraverso cui valutare gli olii in commercio: uno strumento di trasparenza e informazione per le istituzioni deputate al controllo di produzione e prodotto, un vademecum per le imprese del settore, ma anche un sussidiario fondamentale per i consumatori, che si rilevano poco informati.
Che differenza passa allora tra una bottiglia d’olio extravergine di oliva da 3 euro e una da 9? La diversità sta nel sapore, ovviamente, e anche in parametri importanti come i polifenoli, lo squalene, il rapporto acido oleico/linoleico sui quali i diversi olii hanno valori che possono essere variare anche molto.
Come dimostrano i dati rilevati da Voice from the Blogs per PIQ Olio sulle conversazioni via internet a livello globale, analizzando quasi 2 milioni di post tra quelli in inglese e quelli in italiano (tra blog, news, forum, social network, su tutto il 2013), nei confronti dell’olio prevale un atteggiamento positivo (80% dei post in inglese, 94% in quelli in italiano). Ma dietro questo approccio c’è una scarsissima consapevolezza e informazione. Dai post italiani risulta, ad esempio, che il 12,8% degli utenti rivela l’abitudine a impiegare un “olio qualsiasi”. A confermare la scarsa informazione, è l’uso fatto in cucina. Risulta bassissimo (3,7%) l’accostamento tra extravergine e frittura: quando invece proprio l’extravergine è ideale allo scopo. Anche l’analisi del blocco a sentimento negativo rivela una scarsa conoscenza dell’olio: in più del 30% dei casi la percezione negativa è giustificata sostenendo che l’extravergine di oliva “non è sano, fa ingrassare”.
“Con questa ricerca Coldiretti vuole fare un po' di chiarezza su un prodotto importante come l'olio, fulcro della nostra economia agricola” ha dichiarato il direttore di Coldiretti Viterbo.
“Credenze sbagliate e falsificazioni dei prodotti eccellenti hanno massacrato un vanto del nostro made in Italy come l'olio: con questo rapporto di Coldiretti con Symbola, Crea e Unaprol riportiamo un po' di informazione corretta e l'accento che merita questo alimento che, prima di ogni cosa, è sano e di una lunga stroria e tradizione positiva” ha infine dichirato il Presidente di Coldiretti Viterbo Mauro Pacifici.

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