27 Marzo 2017
ROMA

“Una devastazione. Coltivazioni distrutte, compromesse. Colture di mais, di erbaio, di favino e grano duro interamente perse con danni per le aziende agricole calcolati nell’ordine di centinaia di migliaia di euro. Qualcuno fermi i cinghiali”. È la denuncia di David Granieri, presidente della Coldiretti del Lazio, dopo la notizia delle ripetute incursioni di fauna selvatica nei campi seminati della riserva naturale Marcigliana, a Roma, che si estende per 4.800 mq e ospita oltre 70 aziende tra agricole, agriturismi e allevamenti che sono una fetta importante dell’economia e dell’occupazione di quel comprensorio della Capitale. I cinghiali – in quell’area secondo stime molto attendibili la loro popolazione si attesta almeno sui 2.000 capi – scavano il terreno persino tra gli uliveti, mettendo a repentaglio ogni attività economica e produttiva, compromettendo interi raccolti e causando pesanti perdite di reddito. “Al danno si aggiunge la beffa visto che, per indisponibilità di fondi, nessuno degli imprenditori agricoli che hanno presentato domanda di indennizzo ha ricevuto finora il becco di un quattrino per le devastazioni da fauna selvatica subite nel 2016”. “L’ultima segnalazione che abbiamo raccolto proprio in questi giorni – aggiunge Aldo Mattia, direttore della Coldiretti del Lazio – ci è arrivata da un nostro associato, disperato perchè anche i cinghiali gli hanno distrutto interi campi di grano e sarà costretto a comprare sul mercato il grano per alimentare gli animali del suo allevamento, con un aggravio di costi insostenibile per il bilancio aziendale. Nelle aree protette non sono previsti gli abbattimenti, ma almeno ci si attivi per organizzare le catture con le gabbie. Anche a Roma ci sono le condizioni per avviare la filiera del cinghiale, come già succede a Viterbo o al Circeo, in provincia di Latina. Qui, i capi catturati vengono macellati in mattatoi pubblici sotto il controllo delle autorità sanitarie e le loro carni lavorate, trasformate e commercializzate. Anche nella Capitale sarebbe opportuno, ma in fretta, imboccare questa strada, per trasformare una calamità in una risorsa di reddito aggiuntiva per gli imprenditori agricoli, in particolare per quelli – conclude Mattia – che operano dentro oppure a ridosso del perimetro di parchi, aree protette e riserve naturali”.    

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