11 Dicembre 2014
DOSSIER LATTE: UN “VALORE” CHE COSTA.

La Coldiretti del Lazio da anni conduce una battaglia serrata sulla questione del latte mettendo in azione politiche tese da una parte al mantenimento di un prezzo equo alla stalla, ora fermo a 39 centesimi al litro, e dall’altro a ridurre i costi di produzione oltre che valorizzare la qualità del latte laziale e promuoverne il consumo a livello locale.
Coldiretti Lazio ha focalizzato, nel tempo, le sue richieste su tre chiare direttrici: programmi di assistenza tecnica alle imprese mirati non solo al miglioramento della qualità del latte prodotto ma anche all’accrescimento delle capacità imprenditoriali e gestionali necessarie per affrontare il  mercato; attività di promozione del territorio e del latte laziale quale leva per favorire la diffusione di un marchio territoriale e mantenere prezzi adeguati agli allevatori che conferiscono latte di origine tracciabile laziale; azioni di attuazione del “pacchetto latte” con particolare attenzione al rafforzamento del ruolo delle organizzazioni dei produttori nella negoziazione del prezzo del latte.
A queste direttrici si devono aggiungere gli obiettivi fissati nell’ultimo tavolo agroalimentare di settore, riunitosi il 23 settembre scorso presso la Regione Lazio, e contenuti in una bozza di piattaforma di interventi a sostegno della zootecnia laziale da latte che ha accolto in toto le proposte avanzate proprio dalla Coldiretti del Lazio: agevolare l’accesso al credito; sfruttare appieno le risorse del Piano di Sviluppo Rurale (PSR);  ancorare al territorio anche l’industria di trasformazione che opera nel Lazio.
Un motivo di soddisfazione per la Coldiretti Lazio che ha svolto, in questa partita, un ruolo decisivo non solo per aver fornito un contributo diretto per l’elaborazione della suddetta piattaforma, ma anche per aver vigilato affinché gli accordi presi  e gli impegni assunti producessero fatti concreti di vero rilancio del settore rendendolo davvero competitivo.
Una partita però ancora aperta.  (come avviene nella Regione Lombardia che, come noto, rappresenta il mercato di riferimento per tutto il Paese), non sono tuttavia sufficienti  visto l’insostenibile stato di sofferenza in cui versava e versa ancora il settore della zootecnia da latte laziale.

Il contesto

Occorre sensibilizzare l’opinione pubblica sul grave problema che affligge il sistema allevatoriale laziale che vede la redditività delle proprie imprese diminuire a causa di un aumento dei costi che a stento viene coperto da un prezzo alla stalla ormai sceso a livelli insostenibili.
A ciò si aggiunge una iniqua distribuzione del valore lungo la filiera (infatti del valore complessivo prodotto dal settore lattiero caseario poco più del 18% al lordo dei costi di produzione è rappresentato dalla quota agricola, il 38% dalla quota industriale mentre il 43,5% è costituito dai margini di distribuzione che si formano tra il cancello dell’azienda agricola e l’acquisto da parte del consumatore) oltre ad una mancanza di trasparenza che rischia di ingannare il consumatore che continua a pagare il latte fresco oltre 4 volte il prezzo corrisposto all’allevatore
Nel 2013 il valore totale del latte immesso nella filiera è stato di circa  4,8 miliardi di euro, più 700 milioni di euro di materia prima importata, valori che dovrebbero essere confermati anche per l’anno 2014; il valore ai prezzi di fabbrica della produzione industriale è stato di circa 14,8 miliardi di euro, cui vanno ad aggiungersi 2,2 miliardi di prodotti importati. Ciò significa che il valore industriale al netto della materia prima agricola è stato quasi di 9,3 miliardi di euro. Ma ciò che il consumatore ignora è che a fronte di questi valori i margini di distribuzione totale (esportazioni, consumi domestici ed extra domestici) hanno superato i 13 miliardi di euro.
Da ciò si evince come il latte sia uno degli alimenti di più largo consumo. Infatti è presente nel 99% delle famiglie italiane che nel 2013 ne hanno bevuto oltre 3 milioni di tonnellate, circa 53 chili procapite. In particolare sono stati acquistati dagli italiani, tra latte fresco e latte UHT, oltre 2,65 miliardi di litri per un valore vicino ai 28 miliardi di euro. 
Di questi circa 628 milioni di litri sono stati consumati nel Centro Italia per un valore di circa 675 milioni di euro.

La produzione

La produzione di latte vaccino nel Lazio, al 31 marzo 2014, è stata effettuata da 1.413 aziende e 54.048 vacche per una produzione commercializzata di 342.500 tonnellate fra consegne (97,2%) e vendite dirette (2,8%) con una produzione media commercializzata per azienda pari a 242,5 tonnellate. Dal 1 gennaio al 30 settembre 2014 nel Lazio sono state consegnate 246 mila 674 tonnellate di latte con un aumento dell’ 1,73% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Va sottolineato che tra il 2011/12 e il 2012/13 il numero delle imprese in produzione è calato del 5,9%  mentre la  produzione commercializzata del 2,6%.
Entrambi i dati risultano maggiori delle rispettive medie nazionali -3,7% (aziende in produzione) e
-0,4% (produzione commercializzata).
L’unico dato in cui il Lazio eccelle è nell’aumento di ben il 10,2% delle aziende con vendita diretta del proprio latte, in controtendenza nazionale (-2,1%.) Ma il dato realmente interessante è che a questo numero di nuove imprese che commercializzano direttamente il proprio prodotto corrisponde un incremento delle quantità di venduto totale del 55,8%, quasi 7 volte l’incremento registrato a livello nazionale.
Il Lazio rappresenta il 3,1% della produzione di latte commercializzata in Italia, collocandosi al quinto posto a livello nazionale dopo Lombardia ed Emilia Romagna, che da sole rappresentano il 57,8% della produzione nazionale, cui si aggiungono Veneto e Piemonte che insieme alle due precedenti rappresentano il 76,3% della produzione totale nazionale.

I costi di produzione

Nel 2014 il costo totale per 100 chili di latte, iva compresa, è stato pari, in media, a 47,14 euro con un aumento dello 0,8% rispetto al 2013 e ben dell’8,5% negli ultimi 4 anni.
I ricavi complessivi, sempre per 100 chili di prodotto, nel 2014, è stato, al netto dei premi PAC, di 47,31 euro, con una diminuzione, negli ultimi 4 anni, di ben il 6,7%.
L’aumento dei costi di produzione del latte negli ultimi anni è da attribuirsi in particolare al forte aumento delle spese energetiche (+12,3% soltanto nell’ultimo anno) a cui si aggiungono l’aumento dei costi dei foraggi e mangimi acquistati, di quelli prodotti, delle spese generali e fondiarie.
Il dato medio va evidentemente letto considerando che ad una consistenza allevatoriale modesta (fino a 40 vacche) si assiste ad un aumento delle perdite per valori superiori ai 40 euro per 100 chili, al quale tuttavia non corrisponde un analogo incremento dei redditi per consistenze che superano i 150 animali dove si registrano ricavi mai superiori ai 10 euro per 100 chili.
 

L’industria di trasformazione

Nel 2014 l’industria lattiero casearia ha fatturato 14,9 miliardi di euro attraverso 2.073 aziende di cui ben 1.460 (70%) operanti nella raccolta di latte vaccino. In particolare nel Lazio si contano 92 stabilimenti di raccolta del latte suddivisi tra caseifici e centrali del latte (n.60), stabilimenti di aziende agricole (n.7), cooperative (n.17), centri di raccolta (n.8).
La disponibilità complessiva di latte necessaria a soddisfare il fabbisogno nazionale risente poi di importazioni di latte in cisterna piuttosto che di cagliate che tuttavia a causa della mancanza di una chiara legislazione sull’origine delle produzioni intacca il valore del Made in Italy e la qualità delle sue produzioni. Nel solo Lazio vengono importate, ogni anno, circa 12 mila tonnellate di latte sfuso acquistato da 10 fornitori esteri prevalentemente in Germania, Francia, Olanda e Slovenia. La mancanza di trasparenza non consente di sapere in quali stabilimenti laziali finisce questo latte e soprattutto in quali cartoni (prevalentemente UHT).
Stime della Coldiretti sui  pochi dati disponibili fanno pensare che 1 cartone su 4 di UHT contenga latte di dubbia provenienza.
La disponibilità di latte al livello nazionale derivante per l’81,9% dalla produzione nazionale e per la restante parte da import di latte sfuso e cagliate, viene utilizzata per il 76,1% in trasformazioni industriali prevalentemente di formaggi, il 17,2% nell’alimentazione umana (latte fresco e UHT) e un 6,7% per autoconsumo e reimpieghi aziendali.

L’import

Ma il rischio per il consumatore proviene soprattutto dalle importazioni di latte, latticini, formaggi e cagliate spesso anche congelate che finiscono in prodotti e derivati lattiero caseari di casa nostra.
Alcuni numeri testimoniano l’importanza di vigilare sulle importazioni. Basti pensare che nel periodo gennaio-agosto 2014 è stato importato oltre 1 milione di tonnellate di latte sfuso.
A ciò si aggiunge che, sempre nel 2014, nel solo Lazio sono stati importati, dai Paesi dell’Unione Europea, latte e crema di latte per un valore di oltre 19 milioni di euro che ha avuto come destinazione, per quasi il 60% , la provincia di Latina.
E’ interessante sottolineare che quasi il 50% di queste stesse importazioni nel Lazio, provengono dalla Germania per un valore che si avvicina ai 10 milioni di euro.
Ma l’Italia ha importato anche, nel 2014, formaggi e latticini per un valore superiore a 1,2 miliardi di euro.
Nel Lazio tali importazioni ammontano ad un valore di 34 milioni di euro, riferito allo stesso periodo.
Queste importazioni di formaggi e latticini nel Lazio provengono per quasi il 100% dalla Germania.

I VERI PROBLEMI

Prezzo: Dalla stalla al supermercato il prezzo del latte aumenta di ben oltre quattro volte. Infatti agli allevatori vanno in media 0,39 centesimi di euro al litro mentre il consumatore arriva a pagare anche 1 euro e 60 allo scaffale.

Origine e Trasparenza: L’incertezza sulla provenienza del latte oltre che di sottoprodotti e surrogati come cagliate e polvere di latte, fenomeno che viola la legge sull’origine, contribuisce da una parte a ingannare il consumatore e dall’altra a mettere a rischio la sopravvivenza degli allevamenti.

OBIETTIVI  

1. Evitare il rischio che il mancato riconoscimento di una remunerazione adeguata agli allevatori provochi la chiusura delle stalle ma anche la delocalizzazione degli impianti di trasformazione con gravissime ripercussioni a livello occupazionale e per i cittadini/consumatori che saranno privati di prodotti insostituibili sul piano della qualità e della sicurezza alimentare.

2. Salvare il vero “Made in Italy” e gli allevamenti laziali dall'importazione di latte, sottoprodotti e surrogati da spacciare come italiani e per combattere le distorsioni nel passaggio del latte dalla stalla alla tavola.  

STRATEGIA COLDIRETTI LAZIO
                                
a)      smascherare il finto “Made in Italy”;
b)      combattere le inefficienze e le speculazioni e assicurare acquisti convenienti alle famiglie;
c)      sostenere il reddito degli agricoltori.

Si chiede:

-          Un giusto prezzo che remuneri gli allevatori e la qualità del latte che producono (è insostenibile il monopolio dell’industria nella formazione del prezzo);
-          Trasparenza sull’origine del latte che arriva sulle tavole dei consumatori con l’estensione dell’obbligatorietà dell’etichettatura di origine anche al latte UHT e a tutti i prodotti lattiero caseari.

COSA FARE?

Misure immediate

  • Attivazione di ogni strumento d’intervento possibile riferito a:
    1. attenuare i costi di produzione;
    2. sostenere finanziariamente le imprese agricole facilitandone l’accesso al credito;
    3. attuare il “pacchetto latte”;
  • Rendere disponibile al pubblico su sito Internet  i dati riguardanti le importazioni di latte e derivati lattiero caseari (soprattutto in riferimento a polveri di latte,concentrato proteico, caseine  e cagliate) nonché rendere note le  ditte di destinazione dei prodotti importati.
  • Rafforzare i controlli sulle importazioni dall’estero dei prodotti caseari soprattutto per quanto riguarda gli ingressi di latte UHT, polveri di latte e cagliate.

Misure di medio periodo

  • Etichettatura obbligatoria dell’origine del latte per tutti i prodotti lattiero caseari.
  • Norme per agevolare le imprese agricole all’accesso nella distribuzione tradizionale ed organizzata, e alla partecipazione a bandi e gare d’appalto per favorire il consumo nelle mense pubbliche  di latte e derivati.
  • Facilitare lo sviluppo delle filiere corte dei prodotti lattiero caseari, mediante la vendita diretta presso i Farmer’s Market, distributori automatici e altro.
  • Identificazione e definizione degli indici di riferimento  nella definizione con l’industria italiana di un prezzo di base del latte alla stalla con riferimento alle caratteristiche e ai prezzi dei prodotti caseari italiani, nonché dei costi di produzione sostenuti dalle imprese di allevamento.
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